Arbitrabilità delle controversie del socio lavoratore

Come noto, in materia di rapporti di lavoro, l’istituto dell’arbitrato è previsto dall’ordinamento con limitazioni di ammissibilità preordinate alla tutela della lavoratore, non essendo quindi sufficiente per addivenire ad esso, come invece previsto per la disciplina di diritto comune (al di là dei diritti indisponibili), il mero accordo delle parti.
Attualmente, nell’ordinamento italiano due sono i riferimenti normativi sull’arbitrato in ambito lavoristico: l’art. 806 comma 2 c.p.c. (frutto della riforma dell’arbitrato di cui al d. Lgs. n.40/2006), che concerne l’arbitrato rituale; gli articoli 412 ter e quater c.p.c (nel testo da ultimo sostituito dalla legge n.183/2010, c.d. Collegato Lavoro) che invece regolano l’arbitrato irrituale, appunto in materia di lavoro.
In particolare, art. 806 comma 2 c.p.c. dispone che le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., possono essere devolute ad arbitri solo se l’arbitrato sia espressamente previsto dalla legge o dai contratti o accordi collettivi.
Nei limiti di cui sopra, pertanto, non vi sono dubbi in merito alla arbitrabilità delle liti di lavoro.
Sennonché, con specifico riferimento al settore delle cooperative di produzione e lavoro, sorge la preventiva questione di accertare se le controversie con i soci lavoratori ineriscano al rapporto sociale o, invece, a quello di lavoro.
Le soluzioni operative in punto, naturalmente, hanno stretta connessione con il problema della qualificazione del rapporto esistente tra il socio lavoratore e la cooperativa.
In passato, e cioè prima della legge n.142/2001, nessun dubbio era sollevato sulla possibilità di devolvere tutte le controversie del socio lavoratore al giudizio arbitrale, ritenendosi allora che la prestazione di lavoro era finalizzata al raggiungimento dello scopo sociale (Cass., 28 luglio 1951, n. 2188, in Giur. compl. cass. civ., 1951, 321 ss; Cass., 20 dicembre 1985, n. 6561, in Giur. it., 1987, 310 ss.; Cass., 22 luglio 1992, n. 8847, in Dejure.it).
Con l’entrata in vigore della legge n.142/2001, anche in tale ambito la situazione cambia.
Per quanto concerne la disciplina arbitrale, in base all’originaria formulazione dell’art. 5 comma 2 della legge, l’arbitrato di diritto comune trovava spazio quando la lite aveva ad oggetto il rapporto associativo; per il rapporto di lavoro, invece, si poteva fare ricorso all’arbitrato irrituale di cui egli artt. 412-ter e quater c.p.c. .
La legge n.30/2003, riscrivendo il comma in questione, ha eliminato qualunque riferimento alla disciplina dell’arbitrato, oltre, come noto, ad aver inserito i due periodi relativi all’estinzione automatica del rapporto di lavoro ed alla competenza del giudice ordinario per la “prestazione mutualistica”.
Non avendo la novella per nulla chiarito (vd. supra par. 7.2) se residua in tale settore spazio per la competenza del giudice del lavoro, gli interpreti, anche in tema di arbitrato, ancora una volta si sono divisi.
In giurisprudenza, l’adesione alla tesi della competenza societaria da dato luogo a pronunce favorevoli alla piena compromettibilità, in particolare in arbitrato societario, di tutte le controversie tra socio lavoratore e cooperativa, naturalmente previa verifica nel caso concreto della sussistenza di una valida clausola compromissoria   (cfr. Trib. Catania, 21 febbraio 2003, in Giust. civ., 2004, 519).
Al contrario, la tesi della residua competenza (anche) del giudice del lavoro per la duplicità dei rapporti del socio lavoratore, ha indotto all’applicazione del sopra citato art. 806 comma 2 c.p.c, che appunto esclude la possibilità di fare ricorso agli arbitri nelle controversie di cui all’art. 409 c.p.c., a meno che l’arbitrato non sia previsto dalla legge o dagli accordi o contratti collettivi di lavoro  (cfr. Cass., 21 agosto 2003, n. 12309; Trib. Bari, 15 febbraio 2005, in Dejure).
Preso atto di tale quadro giurisprudenziale, l’attenzione dell’interprete deve quindi concentrarsi sull’accertamento in concreto dei contenuti della clausola compromissoria inserita nello statuto sociale e, in particolare, se essa sia in grado o meno di assorbire anche le controversie di lavoro.
Ad esempio, pare pacifico che la clausola compromissoria che si riferisca alla sole controversie “societarie” tra socio e cooperativa non può in alcun modo ricomprendere anche le controversie relative allo scambio mutualistico di lavoro.
Dubbio rimane il caso della clausola statutaria che faccia invece generico riferimento a “tutte le possibili controversie” che possono sorgere tra socio e cooperativa, senza riferirsi in alcun modo alle controversie nascenti dai singoli rapporti mutualistici.
Si è in proposito suggerito che in tale evenienza le controversie relative al rapporto mutualistico possano intendersi ricomprese nella clausola soltanto se il socio ha prestato un esplicito consenso rispetto all’estensione oggettiva della clausola medesima e non soltanto quale conseguenza della mera acquisizione della qualità di socio.