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Tutela reintegratoria per il socio lavoratore, la corretta impostazione del tema non sta nell’art.18 St. lav.

Una recente pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (del 9.1.2018, pubblicata nel testo integrale alla sezione Giurisprudenza di questo portale) affronta, a nostro giudizio correttamente,  i rapporti intercorrenti tra il rapporto sociale e quello di lavoro al fine di valutare la legittimità della delibera di esclusione del socio cooperatore ed il regime giuridico conseguente.

Ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, e richiamando in particolare la pronuncia a SS.UU. della Corte di Cassazione  n.27436/2017, il Tribunale campano riafferma che nei casi di impugnazione della delibera determinante l’esclusione del socio la tutela restitutoria, che consegue all’invalidazione della delibera stessa dalla quale deriva la ricostituzione sia del rapporto societario che dell’ulteriore rapporto di lavoro, è del tutto estranea ed autonoma rispetto alla tutela reale di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori di matrice lavoristica.

E nel caso di specie, osserva il giudicante, avendo parte ricorrente impugnato unitamente entrambi gli atti, stante il vincolo di collegamento unidirezionale che li affascia e, soprattutto, la consequenzialità del licenziamento rispetto al provvedimento esclusivo, la disamina della delibera di esclusione deve essere preliminare.

Trib. S.M. Capua Vetere, sez. lavoro, sent. 9/1/2018

Giurisprudenza di Merito
Tribunale Santa Maria Capua Vetere Sez. lavoro, Sent., 09-01-2018
LAVORO SUBORDINATO (RAPPORTO DI)
Licenziamento

SOCIETA’
Socio, in genere

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE

Sezione Lavoro

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice del lavoro ed in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Valentina Ricchezza, all’udienza del 09.01.2018 ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta al n. R.G. 1535/14

tra

V.G., rappr. e dif. dall’avv. N. Mazzocchi, presso il cui studio elett. dom. in Caserta, via Pollio n. 18, giusta procura a margine dell’atto introduttivo

ricorrente

e

COOPERATIVA DI V.P. A.R.L. in l.c.a, in persona del commissario liquidatore., rapp. e difesa dall’avv. L. Scarano, con cui elett. dom. in Maddaloni via Caudina n. 52, giusta procura in calce alla memoria di costituzione

resistente

Oggetto: impugnativa delibera di esclusione e reintegra

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione la parte istante in epigrafe esponeva:

a) di essere stata alle dipendenze della convenuta in qualità di socio-lavoratore;

b) di aver partecipato all’assemblea straordinaria dei soci, convocata per il giorno 8 settembre 2012, in cui all’ordine del giorno vi era la discussione in ordine alla necessità di adottare misure per il risanamento del bilanci;

c) che all’esito della votazione, dalla quale si era astenuto non essendo state evase le richieste di visione del bilancio consuntivo del 2011, si decideva per la ricapitalizzazione delle perdite societarie accertate, con conseguente prelievo delle quote direttamente dal TFR dei dipendenti;

d) che tale decisione era contestata dall’istante e, a seguito di contestazioni, seguiva l’esclusione dalla compagine sociale con Provv. del 4-10 ottobre 2012;

e) con verbale del 22.01.2013 le parti transigevano la lite stabilendo la riammissione dell’istante nella compagine sociale, la ricostituzione del rapporto di lavoro con contestuale corresponsione delle retribuzioni non versate; la sottoscrizione dell’aumento di capitale deliberato dall’assemblea dei soci con le modalità definite dall’A.D. entro il 31.01.2013;

f) che, a seguito di sollecitazioni, veniva convocato per il giorno 11.02.2013 ma non riceveva alcuna comunicazione per la ricapitalizzazione per cui, in data 05.03.2013 formulava querela;

g) in pari data, con telegramma pomeridiano la cooperativa lo riammetteva in servizio e con missiva del 06.03.2013 gli comunicava che la quota di ricapitalizzazione doveva esser versata per la metà circa immediatamente in contanti e per la restante parte mediante trattenuta mensile sulla retribuzione;

h) con missiva del 12.03.2013, a mezzo del procuratore, l’istante contestava il versamento delle somme così come ricapitalizzate deducendo che gli fosse applicata, al pari degli altri soci, la trattenuta mensile di Euro 100,00 senza acconto in unica soluzione;

i) che la società non formulava alcun rilievo all’uopo limitandosi a dedurre il versamento della somma da corrispondere in unica soluzione entro 5 giorni dalla data dell’11.03.2013;

j) che alcuna misura fu adottata nei mesi di marzo, aprile e maggio, laddove, invece, furono operate le trattenute stipendiali per Euro 100,00;

k) che, in tale lasso temporale, l’istante effettuava una serie di esposti e segnalazioni dirette alla cooperativa con cui stigmatizzava le irregolarità e le anomalie determinanti un disfacimento della società;

l) che la società, con missiva del 02.07.2013 comunicava l’esclusione dalla compagine sociale con la seguente motivazione: “nonostante ripetuti solleciti, Ella ha gravemente inadempiuto l’obbligazione di pagamento assunta nei confronti della scrivente, giusto verbale sottoscritto banco iudicis (R.G. n. 5103/12 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Dott.ssa I.G.) in data 22.01.2013; Ella quindi ha gravemente violato gli obblighi legali e statutari di cui titolare quale socio”;

m) che impugnava la delibera di esclusione, con atto dell’11.07.2013, nonché il licenziamento ed evidenziava la natura ritorsiva e discriminatoria degli stessi non avendo l’istante violato alcuna previsione statutaria ed avendo sempre manifestato disponibilità alla trattenuta mensile.

Tutto ciò premesso adiva il Tribunale affinchè fosse dichiarata la nullità ed illegittimità della delibera di esclusione da socio del 20.06.2013 con conseguente ripristino dello status quo ante e reintegra del ricorrente nella sua posizione associativa e lavorativa con condanna dell’Istituto al risarcimento del danno pari alle mensilità di retribuzione non percepite dal ricorrente; spese vinte con attribuzione.

Si costituiva la società che resisteva all’avverso dedotto evidenziando che l’istante aveva disatteso il contenuto della transazione né valore concludente poteva attribuirsi alla trattenuta operata. Concludeva chiedendo il rigetto della domanda, spese vinte con attribuzione.

Incardinata dinnanzi al giudice ordinario la causa veniva riassegnata al giudice del lavoro che mutava il rito e concedeva termine per l’integrazione degli atti introduttivi. Interrotto il giudizio per la sottoposizione della società cooperativa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, la causa veniva riassunta e, a seguito di richiesta di produzione documentale ex art. 421 c.p.c., veniva rinviata per la discussione e decisa all’odierna udienza del 09.01.2018 con sentenza letta all’esito della camera di consiglio.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di improponibilità/ improcedibilità della domanda per intervenuta liquidazione coatta amministrativa della società.

Sul punto è intervenuta, recentemente, la giurisprudenza di legittimità che, con argomentazioni non disattese dal giudicante, ribadendo principi in precedenza già espressi ha ritenuto che “La sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, anche se impresa bancaria, determina l’improponibilità o l’improseguibilità, per tutta la durata della procedura, delle azioni del lavoratore dirette ad ottenere una condanna pecuniaria, benchè accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale; vanno, viceversa, proposte o proseguite davanti al giudice del lavoro le diverse azioni volte ad impugnare il licenziamento, a prescindere dalla tutela applicabile ed incluso dunque il licenziamento del dirigente, per le quali la possibilità dell’insinuazione nello stato passivo dei relativi crediti risarcitori del lavoratore presuppone che ne siano stati determinati l'”an” e il “quantum”.(cfr. Cass. n. 15066 del 19 giugno 2017).

Può, peraltro, essere richiamato il principio espresso, anche se in tema di fallimento, stante la possibilità di trasporre il suo contenuto, dalla S.C. con sentenza n. 19308 del 29 settembre 2016 secondo cui “In caso di fallimento della società datrice di lavoro, compete al giudice del lavoro la cognizione non soltanto sulle domande del lavoratore di impugnazione del licenziamento e di condanna del datore alla reintegrazione nel posto di lavoro, in quanto dirette ad ottenere una pronuncia costitutiva, ma anche su quella di condanna generica al risarcimento dei danni mediante il pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, trattandosi di istanza meramente riproduttiva del contenuto dell’art. 18 st.lav., e conseguenziale alle richieste principali di dichiarazione di inefficacia del licenziamento, che non comporta alcun accertamento aggiuntivo sul “quantum” del risarcimento, né, quindi, impone lo scorporo della domanda per la preventiva verifica in sede di accertamento dello stato passivo avanti ai competenti organi della procedura fallimentare a tutela degli altri creditori, dovendosi ritenere, sul piano della “ratio legis”, l’inutilità di una simile verifica, idonea ad appesantire ingiustificatamente la durata del processo.”

Nel caso di specie, considerato che l’istante ha chiesto dichiararsi l’illegittimità della delibera assembleare di esclusione con conseguente reintegra nella posizione lavorativa ed associativa la competenza funzionale residua in capo al giudice del lavoro per cui l’eccezione sopravvenuta di improcedibilità della domanda deve essere disattesa.

Venendo al merito giova premettere che parte ricorrente impugna sia la delibera di esclusione che l’atto di licenziamento.

Il provvedimento di esclusione del 02.07.2013, per quanto qui rileva, recita “…nonostante ripetuti solleciti, Ella ha gravemente inadempiuto l’obbligazione di pagamento assunta nei confronti della scrivente, giusto verbale di accordo sottoscritto banco iudicis (R.G. n. 5103/12 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Dott.ssa I.G.) in data 22.01.2013 – Ella quindi ha gravemente violato gli obblighi legali e statutari di cui titolare quale socio. Pertanto con deliberazione del 20.06.2013, che abbiasi qui per integralmente ripetuta e trascritta – e che, ad ogni buon conto, si allega alla presente – il Cda della scrivente Società l’ha esclusa dalla compagine sociale ai sensi dell’art. 17 lett. g) dello statuto sociale. Per effetto di tale esclusione ella ha perso lo status di socio con conseguente cancellazione dal libro dei soci, ad ogni effetto di legge e di statuto…….”.

Il licenziamento, intimato con Provv. del 22 luglio 2013, per quanto qui rileva recita “….in ossequio a quanto previsto dall’art. 26 del regolamento interno e dall’art. 17 lett. g) dello statuto societario – giusta deliberazione del C.d.a. nella seduta del 11.07.2013 – con la presente comunica il Suo licenziamento con effetto dal momento della cessazione del Suo stato di malattia. Tale provvedimento, ai sensi di quanto disposto dall’art. 26 del regolamento interno adottato dall’assemblea dei soci in applicazione della L. n. 142 del 03 aprile 2001, consegue alla Sua esclusione dalla compagine sociale deliberata dal C.d.a. in data 20.06.2013……..”.

Dalla disamina della delibera di esclusione e dell’atto di licenziamento si evince che il provvedimento di cessazione del rapporto lavorativo è stato adottato consequenzialmente all’esclusione ed in virtù della stessa.

Giova, quindi, in via preliminare ricostruire i rapporti intercorrenti tra il rapporto sociale e quello di lavoro per poi scandagliare la legittimità della delibera di esclusione ed il regime giuridico conseguente.

Sul punto è opportuno, sia pure sinteticamente, evidenziare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di reciproca interdipendenza tra il rapporto associativo e il rapporto di lavoro del socio di cooperativa al fine di determinare il regime giuridico applicabile.

A tale riguardo, come è noto, con la L. n. 142 del 2001 è stata affermata la cd. “teoria dualistica”: accanto al rapporto associativo del socio di cooperativa coesiste un ulteriore e distinto rapporto di lavoro (art. 1, comma 3).

La L. 14 febbraio 2003, n. 30 (art. 9) ha cancellato le parole “e distinto”, per cui il rapporto di lavoro del socio è sì “ulteriore” rispetto al rapporto associativo, ma non si distingue più da quest’ultimo, rispetto al quale assume anzi una posizione ancillare. Infatti, la L. n. 30 del 2003 ha altresì previsto che:

a) la risoluzione del rapporto associativo comporta l’automatica estinzione anche del rapporto di lavoro, in sintonia con l’art. 2533 c.c. nella versione novellata dal D.Lgs. n. 6 del 2003;

b) l’esercizio dell’attività sindacale, di cui al titolo III dello st. lav., troverà applicazione soltanto se compatibile con il rapporto associativo, nei limiti definiti da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative;

c) la regolamentazione normativa del rapporto sia associativo che di lavoro trova la sua fonte primaria nel contratto sociale e nel regolamento, essendo la cooperativa tenuta unicamente a rispettare il trattamento economico risultante dai contratti collettivi nazionali di lavoro;

d) sempre a proposito di regolamentazione normativa del rapporto del socio-lavoratore, il ruolo primario della fonte interna, anche regolamentare, risulta confermato anche dal novellato art. 2533 c.c., a norma del quale l’esclusione dalla cooperativa è espressamente prevista per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico, mentre, in precedenza, l’art. 2527 c.c. si limitava a richiamare i casi stabiliti dall’atto costitutivo. Quanto poi all’esclusione-licenziamento del socio-lavoratore, unicamente si prevede, come si è detto, in negativo, l’inapplicabilità dell’art. 18 st. lav. (art. 2, comma 1).

Va osservato al proposito che tutte le ipotesi di giusta causa ovvero di giustificato motivo soggettivo di licenziamento possono rientrare nella previsione di esclusione dalla cooperativa per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale (art. 2286 c.c.), dato che una delle principali obbligazioni contratte dal socio è certamente quella di conferire la propria capacità lavorativa, stipulando e correttamente eseguendo il distinto rapporto di lavoro.

Al contrario, non tutte le ipotesi di esclusione dalla cooperativa possono essere altresì ipotesi di licenziamento (ad es., fallimento del socio), con problemi di legittimità della clausola dell’atto costitutivo che dispone la perdita del posto di lavoro in caso di esclusione dalla cooperativa, anche se per motivi irrilevanti nel distinto rapporto di lavoro.

Tra il rapporto di lavoro ed il rapporto associativo sussisterebbe quindi, secondo questa interpretazione delle novelle legislative, un nesso di pregiudizialità-dipendenza a carattere permanente, simile a quello intercorrente tra conduttore e subconduttore.

E’, pertanto, indifferente in base a quale causa è venuto meno il rapporto associativo, perché, pur in difetto di diretta rilevanza della causa di esclusione rispetto al rapporto di lavoro (ad es., fallimento del socio), comunque si ha un effetto di trascinamento dell’esclusione dalla società rispetto al rapporto di lavoro.

Questa tesi va verificata nel momento costitutivo del rapporto di lavoro: se, infatti, il rapporto di lavoro è dipendente dal rapporto associativo, vuol dire che non si può instaurare con una cooperativa un rapporto di lavoro senza essere previamente diventato socio, così come non è possibile concedere un diritto di ipoteca senza essere previamente diventato proprietario del bene da ipotecare ovvero così come non è possibile concedere in sublocazione un bene di cui non si è prima diventati locatori. Ebbene, questa consecutio non sussiste. La cooperativa non è obbligata ad avvalersi unicamente di soci lavoratori ed anzi, nella propria autonomia organizzativa, può assumere lavoratori subordinati ad esempio per sostituire un socio-lavoratore assente per malattia o maternità ovvero per sopperire ad eccezionali ma temporanee esigenze.

In sostanza era consentito alla cooperativa di prevedere nel contratto sociale il mantenimento del rapporto di lavoro, pur dopo lo scioglimento del rapporto associativo.

Anche sotto il profilo sostanziale, è legislativamente esclusa la necessità di un nesso di pregiudizialità-dipendenza a carattere permanente tra rapporto associativo e rapporto di lavoro (ex art. 24, comma 3, L. 24 giugno 1997, n. 196, così come modificato dall’art. 1-quater, D.L. 8 aprile 1998, n. 78, conv. in L. 5 giugno 1998, n. 176, è possibile l’iscrizione nelle liste di collocamento, al fine del pagamento dell’indennità di disoccupazione, pur mantenendo lo stato di socio della cooperativa) e la necessità di un tale nesso si pone in contrasto con i princìpi costituzionali a tutela dell’autonomia organizzativa della cooperativa, potendone altresì gravemente pregiudicare il funzionamento.

Alla luce della normativa vigente, pertanto, non poteva e non può escludersi che le parti, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, possano dare vita a diversi e distinti contratti (sia nel senso di volere soltanto l’effetto tipico dei singoli negozi posti in essere, sia nel senso di volere anche il coordinamento e il collegamento tra gli stessi per il raggiungimento di un fine ulteriore) ed è perciò ammissibile la sussistenza – accanto o in collegamento col rapporto societario – di un distinto rapporto di lavoro che formi oggetto di una specifica pattuizione, da accertarsi dal giudice di merito investito della questione (cfr. Cass., sez. I, 1-8-98 n. 7559; Cass., sez. lav., 23-2-98 n. 1917 e 17-7-98 n. 7046).

Sul nesso intercorrente tra rapporto associativo e rapporto di lavoro e sul conseguente regime giuridico operante nel caso di cessazione di uno dei due rapporti è intervenuta recentemente la giurisprudenza di legittimità che a Sezioni Unite, con sentenza n. 27436 del 10.10.2017, ha affermato che il rapporto associativo e quello di lavoro sono avvinti da un nesso di “collegamento necessario” e, nella fase estintiva, per effetto anche della novella introdotta dalla L. n. 30 del 2003, il collegamento è unidirezionale per cui la cessazione del rapporto di lavoro non implica necessariamente quello del rapporto associativo perché il rapporto associativo può essere alimentato dal socio mediante la partecipazione alla vita ed alle scelte dell’impresa, al rischio ed ai risultati economici della stessa. Il carattere unidirezionale della relazione, tuttavia, comporta che la cessazione del rapporto associativo trascini anche quello di lavoro con la conseguenza che il socio può non essere lavoratore ma, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore, così come del resto si desume dal dettato dell’art. 5 co. 2 L. n. 142 del 2001 che costituisce espressione del disposto di cui all’art. 2533 c.c.

Secondo l’assunto del supremo consesso nei casi di impugnazione della delibera determinante l’esclusione la tutela restitutoria, che consegue all’invalidazione della delibera dalla quale deriva la ricostituzione sia del rapporto societario che dell’ulteriore rapporto di lavoro, è del tutto estranea ed autonoma rispetto alla tutela reale di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori di matrice lavoristica.

Mutuando le considerazioni sopraesposte al caso di specie osserva il giudicante come parte ricorrente abbia impugnato unitamente entrambi gli atti ma, stante il vincolo di collegamento unidirezionale che li affascia e, soprattutto la consequenzialità del licenziamento rispetto al provvedimento esclusivo, la disamina della delibera di esclusione è preliminare.

Parte ricorrente deduce l’illegittimità della delibera di esclusione evidenziando la natura ritorsiva/discriminatoria della stessa e la contrarietà della stessa al dato normativo non sussistendo gravi inadempienze tali da fondare l’esclusione.

La doglianza è fondata.

Parte resistente giustifica l’esclusione dalla compagine sociale evocando l’inadempimento del verbale transattivo sottoscritto banco iudicis e, al contempo, la violazione dell’art. 17 lett. g) dello statuto sociale.

L’accordo transattivo sottoscritto banco iudicis (cfr. doc. 8 prod. resistente) prevedeva la reintegra del V. e l’impegno alla sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea dei soci in data 08.09.2012 secondo le modalità definite dall’amministratore delegato entro il 31.01.2013.

Orbene, dall’esame della produzione documentale in atti, è emerso che in data 21.01.2013 e, quindi, contestualmente alla stipula dell’accordo transattivo banco iudicis il consiglio di amministrazione approvava un ordine del giorno secondo cui era prevista, per i soci morosi della quota da ricapitalizzare, il versamento di Euro 100,00 mensili.

Quanto alla posizione dell’istante è emerso che la resistente abbia provveduto alla sua reintegra solo con missiva del 06.03.2013 con la quale, peraltro, in merito alla quota da ricapitalizzare, si prevedeva la corresponsione di una parte in contanti in un’unica soluzione e la residua mediante trattenute mensili di Euro 100,00 a partire dal marzo 2013.

E’ incontestato ed emerge anche dai documenti in atti che la trattenuta fu operata mensilmente e nell’importo pari ad Euro 100,00 (cfr. buste paga in atti) anche per il V. mentre alcuna messa in mora o equipollente misura fu adottata per il mancato versamento della somma prevista in unica soluzione se non il provvedimento di esclusione del 20.06.2013.

L’art. 17 lett. g) dello statuto sociale, asseritamente violato, per quanto qui rileva recita “-….senza giustificato motivo si renda moroso nel pagamento delle quote sottoscritte o nei pagamenti di debiti contratti ad altro titolo verso la cooperativa…”

Osserva il giudicante come l’istante non sia stato moroso senza giusto motivo ma, viceversa, la condotta della resistente debba ritenersi contraria a regole di correttezza e buona fede che, quale regola di comportamento che deve conformare i rapporti giuridici non solo nella fase genetica ma anche esecutiva, radica il suo addentellato nell’art. 2 Cost.

Il V. non si è opposto alla ricapitalizzazione ma, anzi, si è mostrato disponibile ad intavolare trattative (cfr allegati in atti) con la società per l’esecuzione dell’accordo transattivo banco iudicis del 21.01.2013.

La resistente, sebbene fosse tenuta giusta accordo transattivo a determinare le modalità di versamento del capitale sociale così come ricapitalizzato entro il 31.01.2013, ha previsto lo stesso a distanza di circa due mesi e con modalità diverse e deteriori rispetto a quelle previste per gli altri soci.

Tale scelta, ad avviso del giudicante, non è sorretta da alcuna motivazione sia pure apparente per questo non può che ritenersi contraria a correttezza e buona fede.

Del resto la previsione dello statuto sociale asseritamente violata postula quale presupposto nella mora nel pagamento l’assenza di un giustificato motivo che, nel caso di specie, secondo il Tribunale sussiste ed è rappresentato proprio dal trattamento omogeneo dei soci.

Peraltro anche l’art. 2533 c.c. che regolamenta l’esclusione del socio fa riferimento al n. 2) a gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico.

Nell’ipotesi de qua indubbiamente sussiste l’inadempimento della previsione del Presidente contenuta nella nota del 06.03.2013 ma tale inadempimento non è grave e la mora nel pagamento è sorretta da un giustificato motivo: l’aver confidato nell’estensione delle modalità di pagamento deliberate dall’assemblea per gli altri soci con le previste modalità di rateizzo.

Non può, peraltro, nella valutazione di assenza di giustificato motivo, e quindi di gravità dell’inadempimento, non essere considerato il lasso temporale intercorrente tra l’accordo transattivo, che prevedeva quale termine finale per la determinazione delle modalità del versamento il 31.01.2013 ed il piano di restituzione stessa comunicato con nota del 06.03.2013 e, infine, l’esclusione dalla compagine disposta con Provv. del 20 giugno 2013. La decorrenza di tale apprezzabile lasso temporale rende la condotta societaria non conforme a regole di correttezza e buona fede. Sul punto si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità che, con argomentazioni condivise dal giudicante, con sentenza n. 14741 del 05.07.2011, ha ritenuto che “In tema di società cooperative, l’inadempimento che giustifica l’esclusione del socio lavoratore ai sensi dell’art. 2533 cod. civ. deve essere qualificato in termini di specifica gravità e presuppone, pertanto, anche una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e la reazione da parte della società recedente, dovendosi ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla luce delle regole di buona fede e correttezza, l’esclusione disposta a notevole distanza di tempo dai fatti addebitati, mentre resta escluso che nella clausola che sanziona la “violazione dello spirito mutualistico e solidaristico della cooperativa” sia ascrivibile la tutela in giudizio dei diritti del socio, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria fosse strumentale al perseguimento di finalità indebite, del tutto estranee alla legittima (anche se eventualmente infondata nel merito) protezione dei propri interessi giuridici”.

Alla luce delle sopraesposte considerazioni la delibera di esclusione del 20.06.2013 deve essere annullata perché illegittima.

Stante il collegamento necessario tra i rapporti a carattere unidirezionale il ripristino del rapporto associativo comporta la reviviscenza, ex lege, anche del rapporto lavorativo essendo stata ricostituita la relazione sociale.

Del resto è del tutto ininfluente l’eccezione sollevata dalla resistente relativa alla dedotta cessione del ramo aziendale. In assenza di prova della cessazione definitiva e globale dell’attività sociale con conseguente azzeramento dell’organico alcuna rilevanza, infatti, può essere attribuita alla deduzione.

Come, infatti, precisato dalla giurisprudenza di legittimità con argomentazioni condivise dal giudicante “La reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro può essere disposta anche nei confronti di una società posta in liquidazione, allorché non risulti avvenuta la cessazione definitiva dell’attività sociale e l’azzeramento effettivo dell’organico del personale” (cfr. Cass. n.2983 del 7 febbraio 2011; Cass. n.741 del 19 gennaio 2004).

Venendo alla richiesta risarcitoria la stessa è improseguibile essendo intervenuta la liquidazione coatta amministrativa.

Osserva, infatti, il giudicante, in attuazione anche dei principi giurisprudenziali innanzi esposti, come la pretesa risarcitoria formulata in tale sede non essendo una conseguenza ex lege al pari di quella contemplata ex art. 18 L. n. 300 del 1970, così come modificata, inapplicabile al caso de quo non può essere delibata dal Tribunale in funzione di giudice del lavoro sussistendo la vis atractiva del foro fallimentare.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

il Giudice di Santa Maria Capua Vetere, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza od eccezione

a)dichiara illegittima la delibera di esclusione da socio del 20.06.2013 e del conseguente licenziamento e per l’effetto ordina alla resistente il ripristino del rapporto associativo e di quello lavorativo;

b)dichiara inammissibile la domanda risarcitoria;

c)condanna la resistente alla rifusione delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3337,00 di cui Euro 2900,00 per compensi oltre IVA e CPA come per legge con attribuzione.

Così deciso in Santa Maria Capua Vetere, il 9 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2018.


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